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Parcheggio condominiale: legittimo un uso diverso tra appartamenti e cantine

È ragionevole che questi ultimi utilizzino l’area solo per il tempo necessario ad alcune operazioni e con una sola auto alla volta

 

Il diritto di parcheggiare non sempre può essere garantito a tutti i condòmini quando l’area comune destinata a tale uso risulta insufficiente. In tali casi, è legittimo adottare un sistema di utilizzo turnario per regolamentarne l’accesso.

Una questione specifica riguardante l’uso turnario del parcheggio è stata esaminata prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello. La controversia era stata sollevata dai proprietari di due cantine che rivendicavano il diritto di accedere al parcheggio turnario, al pari degli altri condòmini residenti nello stabile. Secondo loro, tale diritto veniva violato dal divieto sancito dal regolamento condominiale, considerato ingiusto e discriminatorio nei loro confronti. La vicenda è stata oggetto della sentenza 952/2025 pronunciata dalla Corte d’Appello di Genova.

 

L’esclusione dall’uso di alcuni condòmini

L’uso dell’area pertinenziale era stato oggetto di due delibere con cui la maggioranza dell’assemblea aveva escluso i condòmini proprietari di sole cantine dalla possibilità di parcheggiare. Tali delibere, tuttavia, erano state dichiarate nulle dal Tribunale poiché, violando l’articolo 1102 del Codice civile, impedivano ad alcuni comproprietari di fruire della cosa comune in egual misura rispetto agli altri. Inoltre, le decisioni superavano le competenze dell’assemblea, che non poteva adottare tali provvedimenti a maggioranza.

Successivamente, l’assemblea ha approvato una nuova clausola del regolamento condominiale stabilendo che gli appellanti potevano utilizzare esclusivamente l’area destinata al carico e scarico, già segnalata con apposita indicazione, e solo per il tempo necessario a tali operazioni, limitando l’accesso a una sola auto alla volta. In questo caso, il Tribunale ha respinto l’impugnazione, ritenendo che la clausola garantisse l’uso comune dell’area parcheggio, definendo semplicemente criteri d’uso proporzionati alle necessità effettive dei condòmini. I proprietari delle cantine hanno presentato ricorso contro tale sentenza, sollevando contestazioni specifiche riguardo alle modalità d’uso dell’area esterna comune, destinata a verde pubblico con camminamenti pedonali e posti auto. La Corte di Appello è intervenuta per chiarire i punti in discussione.

 

Il criterio della ragionevolezza

La richiesta del proprietario di una cantina di usufruire del parcheggio condominiale con gli stessi diritti di un condomino proprietario di un appartamento, equiparando esigenze abitative a necessità logistiche, appariva eccessiva e poco sensata, poiché tendeva a sacrificare le prime e strumentalizzare le seconde.

D’altra parte, risultava più appropriato e razionale definire modalità separate di accesso e utilizzo dell’area condominiale in relazione alla natura dell’unità di riferimento. In tal modo, si potrebbe regolare diversamente l’accesso alle abitazioni rispetto a quello alle cantine, seguendo un criterio di ragionevolezza che prevede un trattamento differenziato per situazioni diverse e uniforme per circostanze analoghe.

 

Conclusioni

Per queste motivazioni, la Corte d’Appello di Genova ha respinto integralmente il ricorso, confermando la sentenza contestata. Ha giudicato ragionevole che i proprietari delle cantine, a differenza di quelli delle abitazioni, potessero utilizzare l’area esclusivamente «per il tempo strettamente necessario alle operazioni indicate e con una sola autovettura per volta».

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Fotovoltaico sul tetto: l’uso esclusivo non deve violare il pari uso

Il Tribunale di Rovereto, con la sentenza n. 193/2025, offre un intervento deciso su una tematica divenuta ricorrente nella giurisprudenza condominiale: la possibilità, per un singolo condomino, di installare impianti fotovoltaici sul tetto comune. La pronuncia si focalizza su un caso specifico riguardante un impianto posizionato unilateralmente, che occupava quasi tutta la superficie sfruttabile delle falde esposte al sole. Questa scelta ha avuto l’effetto pratico di impedire agli altri condomini la possibilità di realizzare sistemi simili.

 

Il principio di liceità e i limiti

La pronuncia prende le mosse da un principio fondamentale: l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili è considerata legittima in linea generale, anche se realizzata su beni comuni, come stabilito dall’articolo 1122-bis, comma 2, del Codice civile. Tuttavia, l’uso della cosa comune da parte di un singolo condomino deve sempre rispettare i limiti previsti dall’articolo 1102 del Codice civile, il quale vieta sia di alterare la destinazione del bene sia di impedire agli altri condòmini di utilizzarlo in modo analogo. Nella fattispecie analizzata, il Tribunale ha evidenziato che la collocazione e le dimensioni dell’impianto fotovoltaico installato hanno comportato un’occupazione quasi esclusiva del tetto comune, precludendo agli altri partecipanti al condominio la possibilità di trarne un beneficio equivalente.

 

L’uso intensivo e totalizzante del bene comune

Il giudice ha stabilito che l’utilizzo effettuato fosse di natura particolarmente intensa e totalizzante, risultando così in contrasto con le norme che regolano l’uso della proprietà comune. Sebbene l’installazione fosse tecnicamente compatibile con la struttura dell’edificio, essa ha finito per generare una forma implicita di esclusione nei confronti degli altri comproprietari. Secondo il Tribunale, il fatto che il singolo condomino abbia agito per soddisfare un proprio fabbisogno energetico risulta irrilevante. L’aspetto centrale, infatti, è rappresentato dall’impatto che l’uso individuale ha sui diritti degli altri.

 

Il rimedio: riduzione e riequilibrio

Di particolare interesse è la soluzione adottata dal Tribunale, che ha scelto un approccio equilibrato. Piuttosto che ordinare la completa rimozione dell’impianto, ha recepito gli esiti della consulenza tecnica, stabilendo una riduzione del numero di pannelli installati. Questa misura è stata progettata per consentire ad almeno due altri condomini di poter installare impianti autonomi. In questo modo, si è ripristinato un bilanciamento nell’uso del bene comune, preservando al contempo al resistente la possibilità di usufruire del suo impianto, seppur in forma ridotta.

 

Il profilo processuale e il contraddittorio

La sentenza si sofferma su un importante aspetto di natura processuale. Il Tribunale stabilisce che non è necessario coinvolgere tutti i comproprietari nel contraddittorio, poiché l’azione proposta non incide sulla configurazione della cosa comune, ma si limita a richiedere la rimozione di un uso improprio. Di conseguenza, trattandosi di un’azione mirata a preservare l’equilibrio condominiale ai sensi dell’articolo 1102, è sufficiente chiamare in giudizio solo il condomino che ha realizzato l’intervento contestato.

 

Il rilievo della pronuncia

La recente decisione del Tribunale di Rovereto assume un’importanza significativa sul piano sistemico. In un contesto in cui l’installazione di impianti fotovoltaici sta guadagnando sempre più terreno, anche negli ambiti condominiali, essa fornisce un utile e chiaro principio orientativo: l’azione individuale è ritenuta legittima solo nella misura in cui non pregiudica il diritto collettivo di tutti i condomini a beneficiare della stessa risorsa. Sebbene l’autoproduzione di energia sia fortemente promossa dal legislatore, questa non può tradursi in un uso esclusivamente egoistico dei beni comuni. Il principio di solidarietà condominiale non è una mera teoria astratta, bensì un fondamentale criterio giuridico, formalmente sancito e tutelato dall’articolo 1102 del Codice civile.

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Come ripartire le spese e le responsabilità nel caso di rottura degli impianti di scarico

Con la sentenza numero 7717 del 25 agosto 2025, il Tribunale di Napoli ha nuovamente affrontato il delicato tema della corretta identificazione dei soggetti obbligati a partecipare alle spese per la riparazione degli impianti di scarico e, di conseguenza, a rispondere delle eventuali responsabilità risarcitorie derivanti dal danneggiamento della proprietà di altri condòmini.

Il principio stabilito dal giudice partenopeo, in linea con quello che si può considerare l’orientamento giurisprudenziale prevalente (pur esistendo alcune pronunce discordanti), è il seguente: nel contesto condominiale, le tubature orizzontali sono da ritenersi di proprietà del titolare dell’unità immobiliare dove esse si trovano, anche qualora il danno sia rilevato nella zona della braga di scarico, ossia il punto di connessione tra la tubazione orizzontale e quella verticale.

Per quanto riguarda invece le tubature verticali, ovvero quelle che si sviluppano in senso verticale dal basso verso l’alto e al di fuori degli appartamenti privati, come la colonna principale per il carico e lo scarico delle acque reflue, esse rientrano nella competenza del condominio.

 

Presupposti e conseguenze del principio

Questo argomento si sviluppa sulla base di un’analisi logica che parte dal caso specifico della rottura della braga e delle conseguenti infiltrazioni d’acqua nei piani sottostanti. La braga, infatti, ha la sola funzione di convogliare le acque nere verso la colonna di scarico condominiale, senza svolgere alcun ruolo funzionale diretto nei confronti del condominio. La sua utilità concreta si limita esclusivamente al proprietario dell’appartamento in cui è installata, in quanto garantisce il corretto smaltimento dei liquami prodotti all’interno di tale unità immobiliare.

Di conseguenza, il responsabile della gestione e manutenzione della braga sarà il privato proprietario dell’appartamento, salvo che quest’ultimo fornisca prova di un caso fortuito, ovvero un evento straordinario e imprevedibile capace di interrompere il nesso causale tra la propria condotta e il danno verificatosi. In assenza di tale dimostrazione, spetterà al proprietario farsi carico della riparazione del guasto e del risarcimento per i danni da infiltrazioni causati a terzi come conseguenza della rottura della tubazione orizzontale. Questo principio si applica in virtù del generale dovere di custodia che incombe su colui che ha un rapporto fattuale con il bene danneggiato, il quale è sotto la sua esclusiva responsabilità.

 

Il caso specifico

Nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli, è stata accolta la richiesta avanzata da un condòmino, proprietario di due appartamenti nello stabile. A quest’ultimo è stato riconosciuto un risarcimento superiore ai tremila euro, in quanto aveva subito gravi allagamenti nella sua proprietà causati dalla rottura della braga di scarico dell’immobile situato al piano superiore. Tale danno lo aveva costretto a ridurre l’importo del canone di locazione al proprio inquilino.

Il convenuto, che si era costituito in giudizio chiamando in causa il condominio e sostenendo che la braga fosse di natura condominiale piuttosto che privata, si è visto respingere la propria linea difensiva sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio sfavorevole. È stato condannato non solo a risarcire le minori entrate subite dal condomino ma anche a pagare le spese legali in favore del danneggiato e del terzo chiamato in causa.

 

Il dibattito giurisprudenziale

La sentenza si distingue principalmente per il suo contributo al riaccendersi di un dibattito mai del tutto sopito. Al centro di questa discussione si trovano due opposti orientamenti: da una parte, la visione maggioritaria che considera la braga di scarico un bene privato e, dall’altra, quella che ne sostiene la natura condominiale, valorizzando il ruolo della tubazione di raccordo in relazione alla struttura dell’edificio.

A sostegno del primo orientamento, sono emblematiche le pronunce della Corte di Cassazione 1027/2018 e 15302/2022, che stabiliscono quanto segue: la braga di raccordo, utilizzata esclusivamente per convogliare gli scarichi del singolo appartamento, è considerata di proprietà privata. Diversamente, la colonna verticale, destinata a raccogliere gli scarichi di tutti gli appartamenti, è qualificata come bene condominiale, poiché assolve una funzione comune. Di contro, il secondo orientamento trova fondamento in una pronuncia più datata, la sentenza 10584/2012 della Corte di Cassazione, che attribuisce natura condominiale alla braga. Secondo questa interpretazione, tale elemento non solo svolge una funzione essenziale rispetto alla colonna di scarico, ma ne costituisce anche parte integrante in virtù del suo collegamento strutturale al tratto verticale.

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Lavori edili nei condomini: quali sono gli orari e le regole da rispettare?

Effettuare lavori di ristrutturazione all’interno di un appartamento situato in condominio può generare inconvenienti per gli altri residenti. Per questo motivo, è fondamentale rispettare le fasce orarie dedicate al silenzio e programmare gli interventi nei giorni e negli orari consentiti. Al fine di gestire tali situazioni e prevenire possibili conflitti tra i condòmini, è consigliabile prendere in considerazione alcuni aspetti prima di dare avvio ai lavori.

 

Nessuna normativa esiste in materia

Per prima cosa, va precisato che non esiste una legge nazionale che definisca specifiche fasce orarie per i lavori di ristrutturazione in condominio. È quindi necessario consultare i regolamenti dei singoli Comuni, i quali stabiliscono le norme relative alle attività rumorose, siano esse edilizie o di altra natura.

Le normative possono differire significativamente da una città all’altra e, talvolta, persino da un quartiere all’altro. Pertanto, è fondamentale consultare i siti ufficiali dei Comuni per comprendere le modalità corrette da seguire. Per quanto riguarda i regolamenti condominiali, questi non possono prevedere orari o restrizioni che si discostino da ciò che è stato stabilito a livello comunale, poiché le disposizioni comunali prevalgono e i regolamenti condominiali devono generalmente adeguarsi. L’unica eccezione riguarda i regolamenti condominiali di natura contrattuale, redatti dal costruttore e firmati da tutti gli acquirenti al momento della compravendita, approvati in via unanime. Questi possono introdurre fasce orarie anche più rigide rispetto a quelle stabilite dai Comuni.

 

Le fasce di silenzio

Di norma, i lavori che generano rumore sono proibiti nelle prime ore del mattino, nel primo pomeriggio e di sera, corrispondenti alle cosiddette “fasce orarie di silenzio”, durante le quali la maggior parte dei condòmini si dedica al riposo o al proprio tempo libero.

Generalmente, i lavori edili in condominio possono essere effettuati dalle 8.00 del mattino fino alle 12.30/13.00 e dalle 15.00 alle 18.30/19.00 ad esclusione dei giorni festivi e delle domeniche. Nei giorni prefestivi, invece, possono vigere orari diversi da rispettare.

Tali regole e fasce orarie sono state istituite in modo da garantire un equilibrio tra la necessità di effettuare dei lavori di manutenzione e ristrutturazione degli appartamenti e il diritto dei condòmini a godere della giusta quiete nelle proprie abitazioni.

 

I regolamenti comunali

Alcuni Comuni classificano i lavori edili in base al livello di rumorosità, distinguendo tra quelli rumorosi e quelli meno invasivi. Questa suddivisione consente di stabilire nei regolamenti le fasce orarie durante le quali è consentito o vietato svolgere interventi particolarmente rumorosi all’interno di condomini o in appartamenti situati vicino a uffici o attività commerciali operative. Prima di avviare lavori in un appartamento condominiale, è sempre opportuno verificare il regolamento comunale e consultare l’impresa edile incaricata, che potrebbe già essere a conoscenza delle norme locali, specialmente se ha precedentemente operato nella stessa area.

 

Le comunicazioni all’amministratore e agli altri condòmini

Prima di avviare i lavori, è essenziale informare l’amministratore di condominio e affiggere in bacheca un cartello contenente informazioni importanti: la data di inizio e fine lavori (o il periodo previsto), l’appartamento interessato, gli orari di lavoro stabiliti dal Comune, il nome dell’impresa edile incaricata e i recapiti telefonici per eventuali comunicazioni. È consigliabile includere anche una breve frase di scuse per i disagi che potrebbero verificarsi. Questo avviso dovrebbe essere esposto circa una settimana prima dell’inizio dei lavori, in modo da garantire che tutti i condòmini siano informati con adeguato anticipo.

Nel caso in cui l’impresa edile non rispetti le fasce orarie stabilite, occorre segnalarlo all’amministratore di condominio. Quest’ultimo dovrà contattare il committente dei lavori per intervenire rapidamente e risolvere il problema.

 

Conclusioni

Se il committente non si dovesse attivare per risolvere il problema, generando ulteriori disagi ai condòmini, si potrebbero adottare interventi più determinanti, come contattare il comando di Polizia Municipale affinché effettui un sopralluogo, valuti la situazione e, se necessario, prenda i provvedimenti appropriati.

Qualora ci si trovasse davanti a una circostanza più critica, si potrebbe considerare l’azione legale come ultima risorsa, anche se è sempre consigliabile tentare prima una mediazione per risolvere la questione in modo amichevole.

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I mercoledì della privacy: conservazione dati nei server dell’amministratore

La digitalizzazione dell’attività condominiale ha trasformato in modo significativo il ruolo dell’amministratore, che si trova oggi a dover gestire una mole crescente di dati attraverso strumenti informatici e sistemi di archiviazione digitale. Documenti contabili, verbali, bilanci, dati anagrafici, immagini provenienti da sistemi di videosorveglianza: tutto confluisce in archivi digitali che, per essere conformi al Regolamento (Ue) 2016/679 (Gdpr), devono essere gestiti con criteri di sicurezza, tracciabilità e responsabilità ben precisi.

La sicurezza degli ambienti digitali

L’amministratore agisce quale responsabile del trattamento per conto del condominio, titolare del trattamento, ed è tenuto a garantire l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate, così come previsto dall’articolo 32 del Gdpr. In tale prospettiva, la conservazione dei dati deve avvenire in ambienti digitali sicuri, con sistemi che impediscano accessi non autorizzati, perdite accidentali, modifiche non consentite o esfiltrazioni dolose. Il primo livello di protezione si concretizza nella scelta di un sistema di archiviazione che preveda un accesso controllato tramite credenziali uniche, meccanismi di autenticazione forte e tracciabilità delle operazioni svolte.

Dati su cloud

L’uso del cloud, se da un lato offre vantaggi in termini di accessibilità, velocità e ottimizzazione dei costi, dall’altro introduce problematiche specifiche che l’amministratore deve saper governare. I fornitori di servizi cloud devono essere scelti con attenzione, privilegiando soggetti che garantiscano data center ubicati all’interno dello Spazio economico europeo, così da evitare problematiche connesse ai trasferimenti di dati verso Paesi terzi, soggetti alla disciplina degli articoli 44 e seguenti del Gdpr.

La nomina del sub-responsabile del trattamento

È inoltre obbligatorio, ai sensi dell’articolo 28 del Regolamento, che ogni fornitore di servizi che tratti dati per conto dell’amministratore (sia esso per la conservazione, il backup, la manutenzione o la gestione dei flussi informativi), venga formalmente nominato sub-responsabile del trattamento mediante contratto scritto.

In particolare, tale contratto deve dettagliare le finalità del trattamento, la natura dei dati, le categorie di interessati, le misure di sicurezza richieste, le istruzioni vincolanti impartite dall’amministratore e l’obbligo di cooperare in caso di esercizio dei diritti da parte degli interessati. Inoltre, la lettera h) dell’articolo 28 Gdpr impone che il titolare (e quindi l’amministratore come suo delegato), debba poter verificare la conformità dell’operato del sub-responsabile, mediante audit o altre forme di controllo documentato.

La gestione dei backup

Un altro aspetto essenziale è la gestione dei backup, intesi non solo come strumento di sicurezza in caso di malfunzionamento o cancellazione accidentale, ma anche come elemento centrale per la continuità operativa. Il backup deve essere eseguito con cadenza regolare, conservato in ambienti separati e cifrato, in modo che anche in caso di furto o accesso non autorizzato, i dati non siano in chiaro. È importante che la politica di backup sia formalizzata in un documento interno e accompagnata da una procedura di disaster recovery.

Un esempio emblematico è rappresentato dal provvedimento del Garante numero 224 del 1° giugno 2023 (documento web 9916492), con cui è stata sanzionata un’azienda che aveva affidato la gestione di documentazione condominiale a un fornitore cloud extra Ue, senza le necessarie clausole contrattuali standard e senza aver informato i condòmini del trasferimento. La violazione è costata una sanzione amministrativa e ha messo in luce l’importanza di una scelta oculata dei sub-responsabili del trattamento.

In caso di violazione dei dati

Sul fronte della responsabilità, l’amministratore è tenuto ad attivarsi tempestivamente in caso di violazione dei dati personali. L’articolo 33 del Gdpr impone di notificare il data breach all’Autorità garante entro 72 ore dalla conoscenza del fatto, indicando la natura della violazione, i dati coinvolti, le possibili conseguenze e le misure adottate per contenere il danno. In caso di rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati, deve anche essere effettuata una comunicazione diretta ai soggetti coinvolti, come previsto dall’articolo 34 del Regolamento. Le omissioni o ritardi in tali adempimenti possono determinare l’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative e, in taluni casi, anche responsabilità civili o penali per danno.

Un caso interessante è il provvedimento del Garante numero 319 del 18 luglio 2023 (documento web 9935503), in cui è stato contestato l’accesso non autorizzato ai dati conservati su server in cloud da parte di soggetti terzi, reso possibile dalla mancata adozione di misure di autenticazione a più fattori. L’inadeguatezza delle misure adottate ha determinato la violazione dell’articolo 32 del Gdpr e ha portato a una sanzione e all’imposizione di misure correttive.

Conclusioni

La conservazione dei dati nei server gestiti dallo studio dell’amministratore non può quindi essere improvvisata: è necessaria una pianificazione attenta, che contempli aspetti tecnici, giuridici e organizzativi. Ogni amministratore dovrebbe dotarsi di un sistema di gestione della sicurezza delle informazioni, almeno nella forma di un protocollo interno che disciplini ruoli, accessi, backup, aggiornamenti software, valutazioni dei fornitori e controlli periodici.

In conclusione, il passaggio dalla conservazione cartacea a quella digitale non comporta soltanto un cambiamento di supporto, ma un vero e proprio mutamento culturale.

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Convocazione non ritirata in portineria: il condomino non è obbligato a ritirarla

Il Tribunale di Monza, con la sentenza n. 205 del 31 gennaio 2025, ha trattato una questione particolare legata alla convocazione dell’assemblea condominiale. In questa circostanza, l’amministratore di un condominio ha adottato una modalità di convocazione non convenzionale, che ha dato origine a un’azione legale. In base alle disposizioni generali, l’avviso di convocazione deve essere inviato ai condomini con un preavviso minimo di 5 giorni (salvo diverse indicazioni nel regolamento condominiale), contenere un ordine del giorno e essere recapitato tramite modalità come raccomandata, PEC o fax (art. 66 delle disposizioni attuative del Codice civile).

La convocazione irregolare

Nel caso specifico, l’amministratore ha scelto di lasciare le convocazioni al custode, chiedendo ai condomini di ritirare il loro invito direttamente in portineria, con un avviso affisso negli spazi comuni. Nonostante il condomino fosse stato avvisato tramite email e avesse confermato la ricezione con un messaggio WhatsApp, ha comunque impugnato la convocazione, sostenendo che non fosse avvenuta secondo le modalità previste dalla legge. Il Tribunale di Monza ha dato ragione al condomino, annullando la delibera.

Le modalità previste dal Codice civile

Questo caso evidenzia un uso eccessivo delle nuove tecnologie, come email e WhatsApp, ma anche il contrasto con le rigide modalità formali stabilite dal Codice civile. La riforma della legge sul condominio (legge 220/2012) ha modificato sostanzialmente le regole relative alla convocazione dell’assemblea, introducendo l’obbligo di inviare un avviso scritto, in modo tale da facilitare la prova della ricezione (ad esempio, tramite raccomandata o PEC).

L’obbligo di invio scritto

Prima della riforma, la convocazione poteva essere effettuata anche verbalmente (ad esempio, telefonicamente), ma la prova del rispetto di tale forma era a carico del condominio. Con la legge 220/2012, invece, è stato introdotto l’obbligo di una convocazione scritta, attraverso strumenti che garantiscano la prova di ricezione da parte dei destinatari. Questo regime ha abrogato qualsiasi modalità informale di convocazione, come la consegna in portineria o l’affissione di avvisi negli spazi comuni, che non sono più ammissibili (salvo accordi tra le parti che possano consentire l’uso della posta elettronica ordinaria).

Le implicazioni di una convocazione irregolare

In caso di convocazione irregolare, come quella contestata dal Tribunale di Monza, l’amministratore è responsabile della corretta applicazione delle procedure di convocazione. La scelta di utilizzare metodi non previsti dalla legge può compromettere la validità della delibera, poiché non si è in grado di provare correttamente che i condomini sono stati informati come previsto dalla legge.

Considerazioni finali

Sebbene il comportamento del condomino impugnante possa sembrare in contrasto con i principi di buona fede (articoli 1175 e 1375 del Codice civile), il Tribunale ha deciso di tutelare la forma legale della convocazione. Questo solleva la questione di un possibile ripensamento della giurisprudenza in relazione a come bilanciare la tutela del singolo condomino con quella degli interessi comuni, considerando anche il contesto tecnologico odierno.

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Privacy al mercoledì: la riservatezza nelle pratiche relative agli animali domestici in condominio

La presenza di animali domestici nei condomini è un fenomeno in crescita e impone la necessità di una regolamentazione che rispetti anche le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR). La gestione dei dati personali dei proprietari di animali deve seguire i principi di liceità, minimizzazione e proporzionalità previsti dalla normativa sulla protezione dei dati personali, garantendo che il trattamento delle informazioni avvenga solo per finalità legittime e nel pieno rispetto della riservatezza delle persone interessate.

Le informazioni che l’amministratore può raccogliere

Il condominio, in qualità di titolare del trattamento, ha il compito di assicurare che le informazioni relative ai proprietari degli animali vengano raccolte esclusivamente per scopi leciti e in conformità al principio di minimizzazione dei dati (articolo 5 del GDPR). In pratica, l’amministratore non può raccogliere informazioni eccessive o non necessarie per la gestione degli spazi comuni, come ad esempio l’identità del proprietario o il numero di animali presenti in ciascuna unità immobiliare.

L’amministratore, come responsabile del trattamento, deve raccogliere i dati solo se essenziali per la gestione degli spazi comuni, come le aree destinate agli animali domestici, e deve garantire che tali dati non siano trattati per scopi diversi da quelli indicati nell’informativa sulla privacy.

La registrazione degli animali domestici

In alcuni condomini è previsto un sistema di registrazione volontaria degli animali domestici, finalizzato all’accesso alle aree riservate o alla gestione degli spazi comuni. In tal caso, il trattamento dei dati personali deve avvenire previo consenso esplicito del proprietario (articolo 6, paragrafo 1, lettera a, GDPR), accompagnato da un’informativa chiara e trasparente al momento della registrazione, conforme agli articoli 13 e 14 del GDPR. L’informativa deve spiegare le finalità del trattamento, i tempi di conservazione dei dati e le modalità di accesso per gli interessati.

Un aspetto particolarmente delicato riguarda la gestione delle segnalazioni relative agli animali domestici, che possono riguardare problemi come disturbi (ad esempio rumori notturni o abbaio continuo), problemi di igiene, violazioni del regolamento condominiale o danni agli spazi comuni. In tali casi, l’amministratore deve garantire che le segnalazioni vengano trattate senza divulgare i dati personali dei coinvolti a soggetti non autorizzati, evitando esposizioni indebite o trattamenti non proporzionati.

In caso di discussione in assemblea

Se la situazione richiede un intervento formale, come una diffida o la convocazione di un’assemblea straordinaria per discutere il comportamento di un animale e del suo proprietario, il trattamento dei dati deve avvenire nel pieno rispetto dei principi di riservatezza e proporzionalità previsti dagli articoli 5 e 6 del GDPR. L’amministratore deve limitarsi a trattare solo le informazioni necessarie e pertinenti, evitando di divulgare dettagli non rilevanti.

La segnalazione può essere comunicata al proprietario dell’animale senza rivelare l’identità del segnalante, salvo che ciò non sia indispensabile per garantire il diritto di difesa dell’interessato o nel caso venga presentata una richiesta di accesso.

Il diritto di accesso del condomino

Il diritto dei condomini di accedere alla documentazione condominiale è sancito dagli articoli 1129 e 1130-bis del Codice Civile. La giurisprudenza ha chiarito che tale diritto non richiede una specifica motivazione per essere esercitato, a condizione che non interferisca con l’attività amministrativa e rispetti i principi di correttezza. L’amministratore deve organizzare un sistema che consenta ai condomini di esercitare il diritto di accesso, informandoli riguardo i luoghi e gli orari in cui possono visionare i documenti gratuitamente e ottenere copie a proprie spese.

Nel bilanciare il diritto di accesso e la riservatezza, l’amministratore deve tenere presente che l’accesso alla documentazione non è subordinato a un interesse specifico, ma deve favorire una partecipazione attiva dei condomini alla vita condominiale (Tribunale di Roma, sentenza 11874/2020). Tuttavia, le richieste di accesso non possono essere vaghe o eccessivamente generiche (Tribunale di Roma, sentenza 11837/2020).

Il principio di minimizzazione

L’articolo 5 del GDPR stabilisce che «i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati». Ciò implica che l’amministratore non possa divulgare pubblicamente le segnalazioni, né in assemblea condominiale né in comunicazioni indirizzate a tutti i condomini.

Anche all’interno dell’amministrazione, la documentazione deve essere custodita con attenzione. L’accesso alle segnalazioni e ai dati correlati deve essere limitato al personale autorizzato. L’articolo 32 del GDPR obbliga a implementare misure tecniche e organizzative adeguate, come:

  • la conservazione sicura delle segnalazioni, accessibili solo all’amministratore e ai soggetti autorizzati;
  • l’adozione di tecniche di oscuramento o anonimizzazione nelle comunicazioni destinate al proprietario dell’animale;
  • la cancellazione o limitazione della conservazione dei dati una volta risolto il problema, in linea con il principio di limitazione della conservazione (articolo 5, paragrafo 1, lettera e, GDPR).

Conclusioni

L’amministratore deve prevenire che le segnalazioni diventino causa di conflitti tra condomini o siano strumentalizzate per creare tensioni all’interno del condominio. È fondamentale tutelare sia la privacy del segnalante che il diritto di difesa del proprietario dell’animale segnalato.

Adottare procedure chiare e trasparenti per la gestione delle segnalazioni, nel rispetto delle normative sulla protezione dei dati personali, consente di mantenere un equilibrio tra una convivenza armoniosa e la protezione della privacy, garantendo che la gestione degli animali domestici in condominio sia conforme alle regole e tuteli i diritti di tutti i condomini.

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L’amministratore uscente può essere obbligato con urgenza a restituire i documenti condominiali

Il Tribunale di Bari e la Restituzione Urgente dei Documenti Condominiali da Parte dell’Amministratore Uscente

Il Tribunale di Bari, con l’ordinanza emessa il 6 marzo 2025, ha ribadito ancora una volta l’importanza di una condotta improntata alla correttezza e alla buona fede da parte dell’amministratore, anche in relazione alla conclusione del mandato con i condòmini, qualunque ne sia la causa.

Nel provvedimento in esame, il Tribunale sottolinea che, anche in caso di revoca giudiziaria, l’amministratore è obbligato a restituire tempestivamente alla gestione condominiale la cassa contante e la documentazione di cui è in possesso, trattandosi di beni di proprietà legittima del condominio. In caso di inadempimento, è ammesso il ricorso a misure cautelari d’urgenza.

Inoltre, poiché tale obbligo dipende dalla collaborazione dell’amministratore, il quale non può essere sostituito in questa fase da un terzo, se l’amministratore ostacola il passaggio delle consegne, è prevista l’imposizione di una penale per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’ordine.

La Vicenda Processuale

La società subentrata nella gestione di un condominio ha presentato un ricorso urgente al Tribunale di Bari, invocando l’art. 700 del Codice di Procedura Civile contro i due amministratori precedenti. Il ricorso mirava a ottenere la restituzione della documentazione condominiale e della cassa contante. L’amministratore che era stato revocato dalla giustizia si era rifiutato di restituire i beni, mentre l’altro, dimessosi volontariamente, aveva restituito solo una parte, impedendo al nuovo amministratore di svolgere correttamente il proprio mandato, danneggiando ulteriormente gli interessi dei condòmini.

Entrambi i resistenti si sono costituiti in giudizio, contestando l’improcedibilità della domanda per la mancata mediazione obbligatoria e l’inammissibilità della richiesta di tutela d’urgenza, chiedendo il rigetto del ricorso.

La Decisione del Tribunale

Il Tribunale di Bari ha accolto pienamente la richiesta urgente, ordinando ai precedenti amministratori di restituire immediatamente tutto quanto ancora in loro possesso, in quanto il mandato con il condominio era terminato. I due ex amministratori sono stati inoltre condannati al pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’ordine di restituzione. Il Tribunale ha stabilito l’entità della penale tenendo conto del tempo necessario per il completamento della restituzione.

Procedibilità della Domanda Cautelare

Il Tribunale ha esaminato l’eccezione di improcedibilità, rigettandola, rilevando che la mediazione obbligatoria, pur essendo finalizzata alla deflazione del contenzioso, non preclude in alcun caso l’adozione di provvedimenti cautelari urgenti. Ha sottolineato che, pur privilegiando la risoluzione extragiudiziale, le esigenze cautelari possono prevalere quando è necessaria una risposta immediata (Tribunale di Latina, sentenza 23 aprile 2016).

Ammissibilità della Tutela Urgente

Per quanto riguarda la possibilità di adottare un provvedimento urgente ai sensi dell’art. 700 del Codice di Procedura Civile, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i requisiti per concedere l’ordine di restituzione immediata, a tutela dell’interesse del condominio. Ha ribadito che, poiché l’amministratore di condominio ricopre un incarico simile al mandato con rappresentanza, si applicano le disposizioni del Codice Civile, in particolare l’art. 1713, che obbliga l’amministratore a restituire quanto ricevuto nel corso del mandato.

Cessazione del Mandato e Obbligo di Restituzione

A prescindere dalla causa che determina la cessazione del mandato (sia essa volontaria o per revoca), l’amministratore è tenuto a rendere conto della gestione e a restituire la documentazione e le somme di denaro ricevute per conto del condominio, come stabilito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 10815/2000).

Inoltre, la mancata restituzione di tali documenti e fondi può arrecare grave danno al condominio, che si espone a rischi fiscali e non può esercitare correttamente il proprio ruolo di amministrazione.

Penale per Ritardo nell’Adempimento

Infine, il Tribunale ha imposto una penale di 20 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento dell’ordine di restituzione. Tale misura è stata adottata per incentivare il rispetto dei tempi di restituzione e evitare che il ritardo possa estendersi oltre misura, danneggiando ulteriormente il condominio.

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Il diritto condominiale in modo concreto: il compenso dell’amministratore in caso di dimissioni o revoca

La Revoca dell’Amministratore Condominiale e la Questione del Compenso

La normativa condominiale prevede diverse disposizioni riguardanti la revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea condominiale, disciplinata dagli articoli 1129, 1130, 1131 e 1136, comma 4, del Codice civile, che stabiliscono la maggioranza necessaria per approvare tale decisione. Inoltre, le disposizioni attuative del Codice civile, in particolare gli articoli 64 e 69, integrano le regole relative alla revoca dell’amministratore.

Secondo la giurisprudenza, l’attività svolta dall’amministratore di condominio rientra nell’ambito del contratto di mandato, che si instaura tra l’amministratore stesso e i condòmini. Si specifica che le disposizioni sul mandato si applicano nel limite in cui non siano incompatibili con le normative specifiche relative alla gestione del condominio, la cui amministrazione si basa sulle decisioni prese dall’assemblea dei condòmini, in conformità all’articolo 1136 del Codice civile, e sull’esecuzione da parte dell’amministratore.

Revoca dell’Amministratore e Nomina di un Successore

Un aspetto importante riguarda l’applicabilità dell’articolo 1724 del Codice civile, che prevede la revoca tacita del mandato. La Corte Suprema ha chiarito che, in base all’articolo 1129 del Codice civile, l’amministratore può essere revocato in qualsiasi momento dall’assemblea, anche prima della scadenza annuale, senza necessità di motivazioni o giusta causa. Questo principio ha lo scopo di garantire che la gestione dei beni e dei servizi condominiali risponda costantemente agli interessi dei condòmini, permettendo all’assemblea di nominare un nuovo amministratore anche senza aver prima revocato formalmente il precedente (Cassazione, sentenza 9082/2014).

Occorre anche sottolineare che l’assemblea ha la facoltà di revocare l’amministratore e sostituirlo, anche in assenza di una giusta causa, e non solo in presenza di gravi irregolarità. È importante ricordare che l’amministratore può cessare il proprio incarico in qualsiasi momento, non solo alla scadenza annuale, ma anche in altre circostanze, in base alla propria volontà.

Il Compenso dell’Amministratore in Caso di Cessazione Anticipata

Una questione cruciale riguarda il pagamento del compenso dovuto all’amministratore quando il mandato termina prima della scadenza prevista. In queste situazioni, l’amministratore ha diritto al compenso concordato fino al momento in cui viene sostituito, come stabilito dalla Cassazione (sentenza 3588/1993). Pertanto, l’amministratore che rassegna le dimissioni ha diritto ad essere remunerato per le attività svolte fino alla nomina del successore.

In caso di revoca, il compenso dipende dalla presenza o meno di una giusta causa. Se la revoca avviene senza giusta causa, l’amministratore ha diritto a risarcimenti per i danni e al compenso per il periodo restante del mandato, in virtù dell’articolo 1725, comma 1, del Codice civile. La Corte Suprema ha stabilito che, se non vi è giusta causa, l’amministratore ha diritto al risarcimento (Cassazione, ordinanza 7874/2021).

La Determinazione del Compenso in Caso di Revoca

La questione del compenso in caso di revoca senza giusta causa resta oggetto di dibattito. Secondo alcune decisioni, il compenso dovuto per l’intero periodo del mandato deve essere comunque corrisposto (Tribunale di Bologna, sentenza 20786/2018), mentre altre sentenze si oppongono a questa interpretazione (Tribunale di Udine, sentenza 1015/2019). Tuttavia, recenti pronunce, come quella del Tribunale di Pisa (sentenza 590/2024), hanno riconosciuto all’amministratore revocato, privo di addebiti per negligenza, il diritto a un risarcimento corrispondente al compenso residuo per le mensilità rimanenti, dalla data della revoca fino alla scadenza del mandato.

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L’Amministratore sceglie il legale

L’articolo 5 ter del Dlgs 28/2010, introdotto dalla Riforma Cartabia, dispone che l’amministratore possa attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi senza alcuna preventiva delibera assembleare autorizzativa. Quando l’oggetto rientra nella materia condominiale, la mediazione è condizione di procedibilità con la conseguenza che è necessaria la difesa tecnica. La norma della riforma inizialmente salutata come un’opportuna misura diretta a semplificare e snellire le procedure conciliative in materia condominiale, ha però poi ingenerato dubbi e perplessità operative.

Le nuove responsabilità in capo all’amministratore

Il promovimento o l’adesione a una mediazione, infatti, è una decisione che comporta scelte e spese, quanto meno le anticipazioni per la difesa tecnica, le indennità di mediazione, senza contare le conseguenze nell’eventuale futuro processo in tema di spese di lite, scelte e spese delle quali l’amministratore potrebbe essere chiamato a rispondere all’interno del condominio. In breve: a fronte di nuove facoltà, gravano sull’amministratore nuove responsabilità.

Una recente ordinanza della Corte Suprema (Cassazione 2119 del 29 gennaio 2025), nel riaffermare il principio che «L’amministratore condominiale ha un’autonoma legittimazione alla nomina del difensore del condominio amministrato, pur in assenza di preventiva autorizzazione assembleare, ove la controversia rientri nell’ambito delle attribuzioni di cui all’articolo 1131 Codice civile» contribuisce a limitare la portata del problema. Consente, infatti, di affermare che l’amministratore può procedere alla nomina di una legale senza autorizzazione assembleare almeno nei casi nei quali la controversia rientri tra le sue attribuzioni, principio che può trovare applicazione anche in riferimento al procedimento di mediazione.

La scelta del legale

Resta aperto il problema, per tutte le materie che non rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore. In tema, vanno ricordate le due pronunzie della Sezioni unite (numero 18331 e numero 18332 del 2010) secondo le quali, in caso di controversie che non rientrano tra quelle che può proporre autonomamente, l’amministratore non è legittimato a resistere in giudizio senza una preventiva delibera ovvero senza una successiva ratifica assembleare. La mancanza di tale delibera determina l’inammissibilità della costituzione in giudizio con la conseguenza, tra le altre, che l’incarico conferito al legale non è riferibile al condominio.

La ratifica dell’intesa è riservata all’assemblea

Ci si deve chiedere se tali principi possano trovare applicazione anche in riferimento alla mediazione, che condivide con il processo alcune caratteristiche pur non essendo propriamente una fase processuale. La risposta dovrebbe essere affermativa in considerazione del principio che l’assemblea è l’organo decisionale sovrano del condominio. Potrebbe essere forse valorizzata l’ultima parte dell’articolo 5 ter citato, laddove riserva comunque all’assemblea l’approvazione o meno di un ipotetico accordo di mediazione, come ratifica implicita dell’operato dell’amministratore.

Ma anche tale interpretazione, non sarebbe sufficiente quanto meno in tutte le ipotesi di mancata approvazione dell’ipotetico accordo di mediazione; non vi sarebbe ratifica neppure implicita dell’operato dell’amministratore sul quale continuerebbero a gravare le responsabilità per le scelte compiute e per le spese sostenute. Non ci si può che rammaricare della mancata considerazione del problema nel correttivo della mediazione.

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