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Rumori molesti in condominio: scatta il reato anche in assenza di perizia fonometrica

Inoltre il disturbo deve essere potenzialmente lesivo: è del tutto indifferente che solo una o due persone lo abbiano effettivamente avvertito

 

Vivere in un condominio significa spesso dover affrontare situazioni spiacevoli legate ai rumori molesti provenienti dai vicini. Che si tratti di radio o televisione ad alto volume, lavori domestici, cani che abbaiano, caduta di oggetti pesanti, spostamento di mobili o qualsiasi altro tipo di disturbo sonoro, siamo tutti ben consapevoli di come questi rumori possano influenzare negativamente il riposo e la tranquillità quotidiana. Ma è possibile che i vicini rumorosi siano del tutto ignari di poter essere responsabili di un comportamento che costituisce un vero e proprio reato? E, ancora, conoscono realmente le caratteristiche precise di tale condotta illecita? Il provvedimento emesso il 26 settembre scorso dalla terza sezione penale della Cassazione (sentenza numero 32043/2025) rappresenta un importante strumento informativo non solo per i condòmini vittime di questi disturbi, ma anche per gli stessi autori delle molestie. Questa sentenza richiama principi giurisprudenziali consolidati e di significativa rilevanza pratica che meritano attenzione e riflessione.

 

La vicenda

Il Tribunale di Brindisi aveva condannato un condòmino al pagamento di una multa di 300 euro per il reato previsto dall’articolo 659, comma 1, del Codice penale, relativo al disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. L’accusa nei confronti dell’imputato riguardava rumori molesti, prodotti soprattutto durante la notte, e l’ascolto di musica ad alto volume, che avrebbero compromesso il normale riposo e lo svolgimento della quotidianità dei condòmini dell’appartamento sottostante. Dopo la sentenza di condanna, l’imputato ha deciso di presentare ricorso in Cassazione, basando la propria difesa su due principali motivazioni:

– Violazione di legge (mancanza della pluralità di persone): l’imputato sosteneva che il reato non sussistesse poiché il disturbo avrebbe riguardato esclusivamente gli abitanti dell’appartamento sottostante, senza ledere la quiete pubblica. Nessun altro condòmino aveva infatti presentato lamentele.

– Vizio di motivazione (assenza di accertamenti tecnici): veniva evidenziata la mancanza di elementi oggettivi volti a dimostrare l’entità dei rumori e la loro idoneità a disturbare effettivamente la quiete pubblica. In particolare, veniva contestato che il giudice avesse basato la sua decisione esclusivamente sulle testimonianze delle persone offese, senza disporre una perizia fonometrica o ulteriori accertamenti tecnico-scientifici, necessari per verificare la reale offensività di un reato qualificato come presunti pericolo.

 

Condanna anche se il rumore è avvertito da una sola persona

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, ha emesso un provvedimento che ribadisce alcuni principi essenziali elaborati nel tempo dalla giurisprudenza in merito all’applicazione dell’articolo 659, comma 1, del Codice penale.

Per respingere il primo motivo di ricorso, relativo alla presunta irrilevanza delle lamentele provenienti esclusivamente dagli abitanti del piano inferiore e non da altri condòmini, i giudici sottolineano che non importa quanti individui abbiano effettivamente percepito il disturbo. La norma tutela un bene giuridico sovraindividuale: l’ordine pubblico, inteso come tranquillità pubblica. Tuttavia, quando manca una turbativa alla quiete pubblica, le lamentele isolate di una o due persone non sono sufficienti a configurare il reato.

L’articolo 659, comma 1, non si pone a tutela del singolo individuo — come avverrebbe in un’azione civile legata a immissioni moleste — ma mira a salvaguardare la quiete e la tranquillità pubblica nella loro dimensione collettiva. Pertanto, la contravvenzione rientra nella categoria dei reati di pericolo presunto. In termini pratici, ciò implica che la condotta rumorosa deve essere idonea, anche solo in modo astratto, a disturbare non soltanto poche persone ma un gruppo più ampio.

Un aspetto cruciale risiede nella potenziale diffusività dei rumori molesti e nella loro capacità di essere percepiti da un numero indefinito di individui, come potrebbe accadere in un intero condominio o in una parte rilevante del vicinato. In contesti condominiali, ciò significa che i rumori devono essere tali da compromettere la quiete di un’ampia porzione degli occupanti dello stabile, anche se, nella realtà, solo alcuni residenti presentano reclami.

 

Non osta neppure l’assenza di una perizia

Passiamo ora a esaminare le motivazioni che conducono al rigetto del secondo motivo di ricorso, il quale si basa sull’assenza di una perizia fonometrica atta a valutare l’intensità del rumore. Per accertare il reato oggetto della controversia, è fondamentale stabilire se le immissioni sonore abbiano oltrepassato la soglia della normale tollerabilità. Solo in tale circostanza si può parlare di un reale impedimento al riposo e alle attività quotidiane di un numero imprecisato di persone.

 

La Corte di Cassazione sottolinea che la verifica del superamento della suddetta soglia non rappresenta una valutazione strettamente tecnica, che richieda necessariamente l’esecuzione di una perizia fonometrica. Piuttosto, si tratta di un giudizio basato su fatti, rimesso alla prudente valutazione del giudice, il quale può costruire il proprio convincimento su una varietà di elementi probatori.

 

Gli strumenti istruttori rilevanti possono includere, come nel caso in esame: – le testimonianze delle persone offese o di altri individui (ad esempio i vicini) che descrivono le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti; – le dichiarazioni degli appartenenti alle forze dell’ordine intervenuti sul luogo (i militari) che hanno personalmente constatato la musica ad alto volume e/o la presenza di rumori oggettivamente tali da influire sulla quiete pubblica.

 

Conclusioni

I giudici di Piazza Cavour ritengono che non sia sempre essenziale misurare con precisione i decibel emanati dal soggetto rumoroso; in alcuni casi, infatti, può essere sufficiente che la testimonianza o le valutazioni degli operatori abbiano dimostrato chiaramente la natura oggettivamente offensiva e diffusa del rumore, considerando le circostanze specifiche. Alla luce della dettagliata analisi effettuata, la Cassazione respinge il ricorso, confermando la condanna penale già stabilita. Oltre alla sanzione, il condannato è tenuto a sostenere le spese processuali e corrispondere un contributo alla Cassa delle ammende, come previsto nei casi di ricorsi inammissibili.